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L’arancino su cui camminiamo

L’ora buca, di Valerio Varesi (Frassinelli 2020)
di Alessandra Calanchi – giovedì 8 ottobre 2020 – 542 letture

 

Sono sempre stata affascinata dalle supposizioni più o meno fantascientifiche riguardanti il nostro pianeta, a partire dalla teoria della Terra Cava, molto in auge nell’Ottocento, fino alla fantasia della Terra Piatta, che conta tuttora adepti dotati di testarda immaginazione, passando per la Terraformazione, che è un modo bizzarro di definire la clonazione di nuovi pianeti sul modello del nostro (come se ne valesse la pena). Ma devo ammettere che l’immagine che ci regala Varesi nelle prime pagine di questo suo nuovo, intrigante romanzo – la Terra come un arancino – mi ha definitivamente conquistata.

A parte l’implicito omaggio ad Andrea Camilleri, indimenticato e indimenticabile, e alla mitica signora Adelina, devota nutrice del ghiotto Montalbano, la Terra-arancino è una perfetta metafora esistenziale del nostro qui-e-ora, un pezzo glorioso di italianità destinato al consumo rapido e alla digestione ineluttabile, ma anche superba metafora esistenziale che collega la Sicilia al cosmo, un Professore di scienze (che sembra uscito da Il pianeta di Mr Sammler) ai mille programmi gastronomici che ci propina quotidianamente la TV, una pratica politica fatta di traguardi alla “precarietà di sentirsi sotto tiro”.

Meravigliosi gli studenti del Professore, che – diversamente dal pregiudizio diffuso che considera tutti i millennials un gregge di giovani apatici e disinteressati – si buttano in discussioni argute ed estremamente consapevoli. Commovente il collega del Professore, che ricerca nell’utero post-materno di Club molto privato (erede evidente del celebre masque di Edgar Allan Poe, soprattutto in tempo di pandemia) l’emozione più perversa di tutte: ricongiungersi, mascherato, con la propria moglie. E che dire della misteriosa signora Gina, vedova consolabile e capricciosa che tiene in vita il marito senza bisogno di ricorrere a una medium – o meglio, il medium c’è, ed è il messaggio, come diceva Marshall McLuhan. Messaggio incarnato (o disincarnato) dal Professore stesso, che nel tempo libero (ma quanto ne hanno i docenti nei romanzi?! Fosse così nella realtà…) accetta da una segretissima Agenzia un incarico bizzarro: trasformarsi nel marito defunto di lei, prima solo tramite la voce, poi anche col volto – una metamorfosi identitaria non priva di rischi, ma resa inevitabile (e non solo possibile) dal maquillage virtuale delle nuove tecnologie.

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Valerio Varesi – L’ora buca – copertina del libro

Man mano che si procede nel testo gli incarichi aumentano, cosicché finiamo per entrare – insieme al Professore – in un’altra mascherata, quella della nostra contemporaneità, di cui vengono messi a nudo alcuni dei risvolti più problematici e controversi, come il processo social-mediatico di costruzione della macchina del fango, l’intelligenza artificiale spazio-temporale, l’organizzazione della difesa nazionale. Sullo sfondo aleggia una disperazione collettiva che non trova più vie d’uscita: uno studente che cade da una finestra, operai suicidi, una ragazza malata che vuole ibernarsi per sfuggire alla morte e risvegliarsi – come nel Dormiglione di Woody Allen – in un’epoca di cui non si sa nulla, ma in cui certamente sarà possibile curarsi.

Per non fare spoiler mi fermo qui. Dirò solo che dalla schiuma di una scrittura impaziente e raffinatissima emerge il miglior Varesi, che si prende una vacanza dal tormentato commissario Soneri e strizza l’occhio a Brave New World, a Luigi Pirandello, al transumanesimo – ma anche a The Place di Paolo Genovese (2017), alla Dottrina del male di Alessandro Berselli (2019), e forse anche al primo episodio della seconda stagione di Black Mirror (“Be right back”, 2013).

È un Varesi che vuole scappare dalla museruola del giallo – e dai grigi della nebbia padana – per entrare nell’atmosfera più cupa del noir, quello vero, quello profondo, quello dell’anima che s’interroga e si decostruisce corteggiando la dannazione. Non importa se manca un detective riconoscibile, se il crimine è talmente diffuso da essere impalpabile e quasi irriconoscibile. Tutto ciò che svolge il Professore (perseguitato da un “inopportuno senso della giustizia”) ricalca pedissequamente lo schema dell’hard-boiled, dalla presa in carico dei problemi della dark lady fino al suo sprofondare sempre più nei meandri di una società amorale/umorale. E le sue tante telefonate a Gina, che costellano il romanzo e ne fanno il vero leitmotiv, non sono altro che la più moderna espressione dell’investigatore hammettiano e chandleriano che da P.I. (private eye, occhio privato) si è trasformato in private ear, orecchio privato. Del resto, la critica al mondo dell’immagine che ci ha resi ombre è palese e reiterata, e la caccia all’uomo del finale ci ricorda più quella di Fahrenheit 451 che la dissolvenza di Winston Smith nell’abbraccio del Big Brother.

Ho detto in privato all’autore che qualche virgola in più non avrebbe guastato. Ma ora voglio fare ammenda. Va bene così. Perché è un romanzo senza fiato, che va letto di corsa, come l’Urlo di Allen Ginsberg o il monologo di Molly Bloom. E tengo a precisare che, a dispetto dei vari cross-over da me segnalati, e anzi grazie anche a questi, il romanzo è di un’originalità e di un’attualità disarmanti nel panorama italiano e non solo. Infine: non pensate che l’arancino sia un’innocua versione in salsa local della più aulica madeleine proustiana – no, è un boccone prelibato che vi farà venire l’acquolina in bocca solo per rimanervi piantato in gola. Perché l’ora buca non è soltanto l’ora di pausa fra una lezione e l’altra, ma un grande buco nero pronto a inghiottirci, fatto com’è – che James Ellroy mi perdoni – dei nostri luoghi oscuri. E la Terra su cui camminiamo, la crosta di quell’arancino dal cuore filante, è (come ormai ben sappiamo) pronta a sbalzarci via, anzi: temo che non aspetti altro.

Un ringraziamento speciale a Alessandra Calanchi, docente di letteratura americana all’Università di Urbino e alla rivista “Giro di vite”